Gli artisti vengono definiti “stelle” perché hanno il compito di illuminare le tenebre della vita; altrimenti, che stelle sarebbero!
Introduzione
Da due anni amico e ospite fisso agli eventi di Prison Fellowship Italia presso la Casa Circondariale di Ariano Irpino (AV), Luca Pugliese è un artista poliedrico: pittore, cantautore, musicista.
Di origini irpine, da oltre dieci anni dona ai reclusi delle carceri italiane un’”evasione sana” con il tour “Un’ora d’aria colorata” come “one man band”. Recentemente, ha avvicinato i detenuti all’arte trasmettendo loro la passione per la pittura e guidandoli nel dipingere le pareti di alcune carceri.
- – Luca, da molti sei conosciuto per la tua “Ora d’aria colorata” nelle carceri italiane.
Spiegaci di cosa si tratta.
- – “L’ora d’aria colorata” è un progetto che porto avanti da anni, come una missione, e che dedico al popolo carcerario, portando con me i miei strumenti e regalando suoni, sensazioni, canzoni, interpretazioni, sia di pezzi miei che di pezzi estratti dal panorama musicale internazionale, soprattutto quello latino. Essendo meridionale, infatti, mi lego al mondo latino, brasiliano e napoletano. È un “Luca Pugliese nel sociale”, che si fa aprire le porte di un carcere, si presenta con semplicità, come un artista, un musicista, un pittore, e si pone di fronte a qualsiasi essere umano con la stessa empatia. L’”ora d’aria colorata” è nata perché nel mio paese viveva un direttore di un carcere molto noto che mi chiedeva spesso un concerto nel suo istituto. Il primo concerto l’ho fatto, non a caso, il 6 gennaio (Epifania) del 2013. Da quel giorno ho suonato nelle carceri oltre 30 volte! Penso di essere un “recordman” sotto questo aspetto. Essendo un one man band, riesco a tenere da solo un concerto. Tempo fa ho suonato per la prima volta in un carcere femminile, quello di Pozzuoli. L’impatto è stato ancora più forte: vedere delle donne soffrire, quelle che vengono definite il sesso “debole”, mi ha segnato molto… La mia missione di portare un sorriso, facendo dimenticare per un momento dove ci troviamo e di cogliere comunque la bellezza della vita, è stata riuscitissima.
- – Com’è nato questo tuo interesse per il mondo carcerario, per gli ultimi?
- – Non esistono né ultimi, né primi! Esistono esseri umani! Chiunque può trovare nella propria esistenza il bianco e il nero. Sappiamo bene che essere rinchiusi è una sofferenza tangibile, reale. Togliere la libertà alle persone, richiuderle in piccoli spazi non è una cosa dalla quale distogliere lo sguardo. È come se non funzionasse un ospedale, una scuola: è necessario intervenire. E io intervengo con la musica: nei miei concerti si ritrovano perfino a ballare la tarantella!
Alla fine di ogni mio concerto, gli educatori, gli psicologi, gli psichiatri si vengono a complimentare perché mentre loro fanno fatica a tenere a bada anche un solo detenuto, io, con la mia musica, riesco a tenerne a bada mille! L’arte fa miracoli!
- – L’arte porta sempre frutto, anche per chi vive la detenzione?
- – Io realizzerei un’intera orchestra! In Irpinia, nel carcere di Sant’Angelo ai Lombardi, tutti i detenuti sono lavoratori. Se li priviamo della loro libertà ma non dell’operatività è già un successo. È fondamentale tenerli attivi, vivi, liberi nella mente senza sovvertire le regole. Il problema non è il carcere di per sé ma il modo in cui è strutturato. Come per gli ospedali o le scuole c’è il carcere eccellente e quello fatiscente. Portare arte, cultura, fa respirare un altro clima.
Se chi abbiamo di fronte capisce che mettiamo passione in quello che facciamo, loro reagiscono con la stessa passione.
- – La musica, in particolare, può avere dei risvolti rieducativi?
- – Ogni carcere dovrebbe avere una sala prove, con un maestro che sappia dirigere i detenuti, e un gruppo musicale. Parlare della musica significa parlare dell’arte di Dio!
Dio ha creato prima la musica e poi l’acqua! Infatti mi accorgo che i detenuti sono “assetati” di vibrazioni di questo tipo. A Foggia, ad esempio, mi sono trovato in un ambiente inizialmente “traumatizzante”! Erano tutti un po’ arrabbiati, nervosi ma dopo dieci minuti sembravamo tutti fratelli! Mi hanno voluto addirittura prendere in braccio!
- – Nella tua canzone “Corri corri”, parli di una persona che sogna e dell’importanza del tempo. Tu cosa sogni e cosa ti aspetti dal futuro?
- – Io mi aspetto di lavorare in armonia con tutti e con tutto il Creato. Mi auguro di andare avanti e di crescere. Corri corri è dedicata alla mia esistenza, anche se poi la dedico all’esistenza di tutti perché è una sorta di consiglio di vita. Correre è sinonimo di lavorare, pensare, riflettere, decidere; ma ci dice anche che occorre fermarsi, in alcuni casi. Dobbiamo avere fiducia nel tempo.
- – Ti definisci spesso come un “artista cosmico”. Cosa intendi?
- – In realtà non mi definisco più così. Adesso mi ritengo un artista “antropico”, antropologico. Prima mi ritenevo “cosmico” perché mi sono ritrovato immerso nei colori, a dipingere giorno e notte, a suonare sempre, come se ci fosse una “forza cosmica” che mi spingeva.
Ho esplorato il cosmo nella pittura. Sono noto anche per aver esplorato il cosmo in tutte le sue sfaccettature: dalle stelle ai pianeti, alle galassie, ai buchi neri. Prima ero cosmico sulle stelle; adesso sono cosmico con tutto il peso della vita, da cinquantenne, con tutti i sacrifici per portare avanti l’aspetto artistico, in un paesino in provincia di Avellino, non in una metropoli.
- – Perché oggi ti definisci un “artista antropologico”?
- – Sono permeato di umanità:
dopo aver suonato oltre 30 volte in un carcere, non pensi più alle stelle! Pensi alla famiglia di quell’uomo recluso, ai figli senza un padre, a un microcosmo sociale che dobbiamo illuminare. Perché gli artisti vengono definiti “stelle”? Perché hanno la missione di illuminare le tenebre della vita, altrimenti che stelle sarebbero! Io credo di essere un “pianeta” e non una stella, perché ricevo e restituisco. Non mi si addice assolutamente il termine star.
- – Sei stato tra i protagonisti del “Pranzo di Pasqua” nel carcere di Ariano Irpino ad aprile 2023. Cosa ti ha lasciato questa esperienza promossa dall’Associazione Prison Fellowship Italia?
- – È stata una giornata bellissima. Ho apprezzato molto quello che avete fatto. Il clima era diverso rispetto ai miei concerti, perché sono stato ospite di una “cerimonia”, il Pranzo stellato della Santa Pasqua: è una cosa bellissima offrire un pranzo stellato ai detenuti. Sono stato a tavola con il Vescovo e con 12 detenuti che erano tra i più isolati, “pericolosi”, che non prendevano parte alle attività. Ma sono stati molto gentili: abbiamo sorriso, scherzato con il vescovo, con la presidente di Prison Fellowship Italia, Marcella Reni, molto simpatica.
- – Quali sono i tuoi attuali progetti?
- – Ho in programma diversi tour in tante piazze, soprattutto nel Meridione. Sto portando un omaggio a Franco Battiato intitolato E ti vengo a ricercare insieme a Dario Salvadori; ho un duo insieme a Tony Esposito e un altro insieme a Marco Zurzolo, tutti giganti della musica, ma mi esibisco anche da solo: cassa, chitarra, charleston e voce, tutti suonati contemporaneamente da me. In un certo senso, l’esibizione all’interno degli istituti penitenziari è un “rodaggio” dei concerti che farò poi nelle piazze. Diventa poi molto più semplice portare “fuori” le mie canzoni alle persone “libere”. E nelle piazze mi porto anche quel rigore, quel rispetto che mi offrono i detenuti nelle carceri; il ascolto in un silenzio tombale e l’applauso finale.
- – Credi in Dio? Ti accade di vedere nel volto dei detenuti il volto di Dio?
- – Molto! Moltissimo! In carcere c’è Dio sicuramente, si tocca con mano. Fuori è difficile toccarlo. La gente ha quasi vergogna della spiritualità in questo periodo, è qualcosa di negativo da raccontare. La gente ha quasi paura di coltivare la spiritualità, che non è esclusivamente la religione ma può essere contemplare un albero, la bellezza del mondo; Dio è ovunque. In questo modo, diventa poi normale arrivare a Dio: se si inizia a contemplare un filo d’erba, un fiore o un albero, le stelle, il cielo… Chi può averle create se non Dio! Oltre a essere credente sono anche molto spirituale.
- – Continuerai ancora a suonare nelle carceri?
- – Io mi auguro di sì, fino a quando avrò la forza di portare i miei strumenti dentro al carcere; fino a quando riuscirò a portare l’arte dove c’è bisogno, arte che serve a far star bene le persone che soffrono; l’arte come missione sociale, come dovrebbero fare tutti. E di tutto questo ne vado fiero.
Intervista di Daniela Di Domenico a Luca Pugliese, artista e cantautore